Per comprendere le patologie delle vie aeree come le Bronchiti nelle sue forme acute, croniche e ostruttive e la Broncopneumopatia è necessario conoscere l’anatomia e la fisiologia dei bronchi.
I BRONCHI
Sono i tubi vuoti che permettono il passaggio dell’aria inspirata fino agli alveoli polmonari e di quella espirata fino alla trachea e di lì all’esterno.
I due bronchi principali – uno a destra e uno a sinistra – si biforcano dalla trachea, dove hanno un diametro di 2 cm e si dividono dicotomicamente per 23 generazioni successive, fino agli alveoli: fino alla 16a generazione hanno funzione strettamente conduttoria, nelle 6 generazioni successive, ormai molto piccoli di calibro (1 mm) e senza strutture cartilaginee, si chiamano bronchioli e gli ultimi di essi (zona di transizione) sono già connessi con alveoli adiacenti.
L’interno dei bronchi è completamente rivestito di epitelio cilindrico pseudostratificato, ciliato che poggia su una membrana basale. Intervallate alle cellule ciliate sono presenti cellule caliciformi mucosecernenti: quelle a secrezione mucosa producono le glicoproteine del muco (sialo, solfo e fucoso-mucine) , quelle a secrezione sierosa lisozima e IgA.
Al di sotto vi sono fibre elastiche riunite in fasci longitudinali e fasci muscolari lisci disposti circolarmente intorno al bronco nei bronchi più grandi e a spirale in quelli più piccoli; la loro contrazione riduce il calibro bronchiale, ma anche lo accorcia, impedendone il collabimento. Il resto della parete è composto da tessuto connettivo lasso, attraversato da nervi, vasi venosi e arteriosi, cellule linfatiche riunite in gruppi, vasi linfatici. Nella sottomucosa anche alloggiano i corpi di ghiandole più strutturate (tubulo-acinose, a secrezione sierosa, mucosa o mista): il loro secreto viene riversato nei bronchi attraverso dotti che si aprono nell’epitelio. Nei bronchi maggiori vi sono anche placche cartilagenee che assicurano una certa rigidità di struttura del bronco.
Le ciglia vibratili stanno alla sommità delle cellule cilindriche (circa 200 per cellula): sono lunghe 6 micron e hanno un diametro di 0.3 micron; contengono 9 coppie di microtubuli disposti a corona e una coppia centrale: la loro contrazione permette il movimento delle ciglia con un andamento descritto come “un campo di grano battuto dal vento” .
Il fluido che ricopre l’epitelio bronchiale deriva dalle ghiandole bronchiali e dal surfattante alveolare; è iperosmolare rispetto al liquido interstiziale, contiene più potassio, più calcio e varie macromolecole ed è costituito da due strati: uno a contatto con l’epitelio bronchiale (fase sol) molto fluido, così da non ostacolare i movimenti delle ciglia di cui, nello spessore, eguaglia all’incirca la lunghezza (6 μm); e uno superficiale più denso e viscoso (fase gel) in cui penetrano le punte delle ciglia, che con il loro movimento, provvedono al suo trasporto. La velocità con cui viene trasportato il muco nella trachea è di circa 4 mm/min.
Lo strato di gel ingloba le polveri inalate ed è una barriera per i batteri che vi aderiscono non solo per la sua viscosità, ma anche per il formarsi di legami chimici fra recettori delle mucoglicoproteine e le membrane batteriche. Il movimento ciliare trasporta il tutto alla trachea e poi alla gola, dove viene deglutito.
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L’infiammazione dei bronchi – bronchite – comporta danni più o meno importanti a tutte le strutture che compongono la parete del bronco: l’epitelio , la sottomucosa, il muscolo liscio, le ghiandole mucipare, le ciglia. Può così succedere che il lume bronchiale, in cui deve scorrere l’aria, sia ridotto di calibro, per edema della mucosa, contrazione del muscolo liscio o accumulo di secrezioni e quindi possa mancare il respiro. In ogni caso ci sarà tosse: questa sarà utile se porterà all’espulsione del catarro endobronchiale, riversato in eccesso dalle ghiandole infiammate, ma fastidiosamente inutile se sarà secca, solo dovuta all’irritazione delle terminazioni nervose della parete bronchiale.
Vi sono tipologie di infiammazione diverse, con danni diversi per localizzazione e durata, variabili anche in rapporto alla presenza di altre malattie (sinusiti, allergie) o a fattori irritativi (fumo di tabacco, inquinanti in ambiente di lavoro).
Una forma molto speciale di infiammazione bronchiale è l’asma, che merita una trattazione del tutto particolare; l’asma può essere associata alla broncopatia cronica ostruttiva (v. oltre) in una forma nota con l’acronimo di ACOS (Asthma COPD Overlap Syndrome)
Le patologie delle vie aeree alte (naso, seni paranasali, faringe, laringe) condizionano assai le patologie bronchiali: l’ostruzione nasale rendendo necessaria la respirazione orale, cancellando tutti i vantaggi della respirazione nasale ( che costringe l’aria ad attraversare una serpentina formata dai turbinati):
– riscaldamento dell’aria troppo fredda, che a livello bronchiale riduce l’attività ciliare e a livello polmonare l’attività di molti meccanismi di difesa
-umidificazione dell’aria, che se troppo secca, disidrata le secrezioni bronchiali, rendendone difficile la movimentazione fisiologica e anche l’espulsione con la tosse
-ripulitura dalle polveri e dai germi dell’aria (ognuno lo può constatare soffiandosi il naso dopo aver lavorato in ambiente polveroso).
Inoltre le secrezioni patologiche del naso scolano regolarmente in faringe (post-nasal–drip), trascinando verso il basso agenti patogeni presenti.
BRONCHITI ACUTE
Distinguiamo innanzitutto le forme acute da quelle croniche.
Le bronchiti acute si classificano in infettive e irritative: queste ultime sono causate da inalazione di broncoirritanti (cloro, ammoniaca) e si curano con cortisonici inalatori e generali. Forma particolare è la bronchiolite fibrosa obliterante descritta in individui che hanno respirato gas tossici; questi, dopo un certo periodo d’apparente guarigione, presentano cianosi con fenomeni asfittici progressivi mortali, per la neoformazione connettivale che riduce talora completamente il lume dei piccoli bronchi.
Le forme infettive acute sono caratteristiche delle stagioni invernali. In persone senza altre patologie, hanno più spesso una causa virale che interessa le vie aeree più alte e poi si propaga alla trachea e ai bronchi, “un raffreddore che si esteso al torace”; ma, risolti i sintomi a carico del naso e della gola, persiste una tosse più spesso secca, con sensazione di bruciore retrosternale (causato dalla disepitelizzazione della mucosa tracheobronchiale). Se l’infiammazione raggiunge strati più profondi della mucosa le ghiandole bronchiale aumentano la quantità di secrezione e la tosse tende a diventare catarrosa. In questa situazione la fisiologica detersione delle vie aeree con il meccanismo del movimento ciliare non è più possibile, perché le ciglia restano schiacciate e invischiate dalle secrezioni troppo abbondanti e dense: la tosse diventa così la sola possibilità di espellere il catarro bronchiale e vanno perciò evitati i sedativi della tosse.
Favoriti poi dal primitivo danno virale all’epitelio bronchiale, in un secondo tempo possono poi sovrapporsi dei microbi, spesso già “in agguato” a livello rinofaringeo: allora il catarro (che all’origine è trasparente/bianchiccio) prende il colore delle colonie batteriche di quel colore che lo inquinano (per esempio giallo per lo staphylococcus aureus), verdastro per lo pseudomonas aeruginosa.
Nelle persone sane queste forme di bronchite tendono alla guarigione spontanea per il prevalere delle difese dell’organismo; ma nei fumatori la tosse dura per periodi più prolungati, perché il fumo di sigaretta – fra gli altri danni – blocca l’attività ciliare e riduce l’attività delle cellule addette alla produzione di anticorpi. Se poi c’è già una bronchite cronica, (si configura cioè una forma “acuta su cronica”) il quadro respiratorio può diventare preoccupante. Sono allora necessari trattamenti antibiotici anche ripetuti (eventualmente associati a cortisonici e fluidificanti) per migliorare la situazione. Negli asmatici una bronchite acuta è quasi sempre causa di riacutizzazione dell’asma.
L’infiammazione dei piccoli bronchi (bronchiolite) è più grave specialmente nei bambini (ma anche negli anziani in scadenti condizioni generali), è anch’essa molto spesso sostenuta da virus (virus respiratorio sinciziale e, meno frequentemente, virus parainfluenzali) con frequente sovrapposizione batterica.
La prevenzione delle bronchiti acute invernali consiste nel ridurre l’impatto dei virus con la vaccinazione anti-influenzale, nel l’eliminare la possibilità di sovrapposizione batterica da Diplococcus pneumoniae, (che è il germe di più frequente riscontro) con la vaccinazione antipneumococcica, nel l’ottimizzare l’igiene nasale e orofaringea (lavaggio con soluzione fisiologica o spray salini soprattutto serale) , nell’evitare per quanto possibile gli ambienti fumosi e inquinati.
BRONCHITI CRONICHE
La definizione di bronchite cronica è di natura clinica e si riferisce a una patologia che presenta tosse almeno per tre mesi all’anno per almeno due anni consecutivi. In realtà quasi tutti i portatori di bronchite cronica presentano tosse –magari poca, in alcuni periodi – quasi tutto l’anno. Essa è dovuta ad un aumento quantitativo persistente delle secrezioni bronchiali, associato a iperplasia e ipertrofia delle ghiandoledella sottomucosa bronchiale, (sierose, ma soprattutto mucose) e a iperplasia delle cellule caliciformi. Si possono riscontrare aree di disepitelizzazione e di metaplasia squamosa dell’epitelio. Le ciglia allora scompaiono completamente e quindi, come già detto, la tosse è inevitabile per detergere le vie aeree.
A questo proposito vale la pena ricordare che le ciglia, anche se presenti possono essere immobili sia per una loro specifica patologia, ma più spesso per danno tossico del fumo di sigaretta che le immobilizza. Questo spiega perché i fumatori abbiano spesso tosse e catarro al mattino, dopo una notte senza fumo, che permette la ripresa del battito ciliare.
Questa tipologia di bronchite (bronchite cronica semplice o catarrale) non induce mancanza di respiro, perché il calibro dei bronchi resta buono e la tosse elimina le secrezioni che si accumulano al loro interno.
In alcuni casi la bronchite cronica è legata al ristagno delle secrezioni all’interno di deformazioni piccole o grandi del lume bronchiale, le bronchiectasie. Queste possono essere congenite oppure acquisite. Spesso quelle congenite sono associate ad una sinusite cronica e talora a destrocardia (sindrome di Kartagener).
Quelle acquisite sono per lo più dovute a danno della parete bronchiale per bronchiti severe in infanzia, ma soprattutto per cicatrizzazione di infezioni pleuriche o polmonari, spesso tubercolari.. Le bronchiectasie alterano il normale scorrimento del film siero- mucoso endobronchiale, così come una buca nella strada trattiene l’acqua della pioggia dopo un acquazzone: solo un colpo di tosse potrà smuovere il catarro ristagnante. Il danno alla parete bronchiale delle zone bronchiectasiche può provocare delle emorragie localizzate e quindi l’espulsione di sangue dalla bocca (emoftoe,emottisi). La radiografia del torace non evidenzia chiaramente le bronchiectasie, se hanno dimensioni limitate: in passato per dimostrarne l’esistenza era necessaria la broncografia, con l’introduzione di mezzo di contrasto nei bronchi. Oggi si documentano agevolmente con la TAC ad alta risoluzione, senza mezzo di contrasto (HRTC)
In altri casi sono proprio le secrezioni bronchiali ad essere difettose per eccesso di densità come succede nella fibrosi cistica o mucoviscidosi (spesso abbreviata come FC), malattia genetica autosomica recessiva, grave, potenzialmente mortale, causata da una mutazione nel gene CF (cromosoma 7), il quale codifica per una proteina che funziona come canale per il cloro detta CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator). Tale alterazione porta alla secrezione di muco molto denso e viscoso e quindi poco scorrevole. La conseguente ostruzione dei dotti ghiandolari provoca i sintomi principali (comparsa di infezioni polmonari ricorrenti, insufficienza pancreatica, steatorrea, cirrosi epatica, ostruzione intestinale e infertilità maschile).
E’ importante diagnosticarla nella primissima infanzia (spesso se ne esegue uno screening neonatale, dosando il contenuto di cloro nel sudore), perché se trattata oggi permette una buona sopravvivenza, mentre in passato era mortale già in infanzia. Inoltre nuovi farmaci sono in avanzata fase di studio, fino alla possibilità di somministrare artificialmente la proteina CFTR.
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Ma la forma di bronchite cronica più nota, perché grave, progressiva, spesso mortale è la broncopneumopatia cronica ostruttiva il cui acronimo è BPCO ( COPD in inglese): di questa ci occuperemo più estesamente.
B = bronco
P = pneumo, cioè polmone
C = cronica
O = ostruttiva.
In questo quadro si associa la bronchite cronica catarrale di cui abbiamo parlato prima (tosse e catarro per infiammazione bronchiale) con un restringimento del lume bronchiale; ed inoltre si aggiunge un danno strutturale del tessuto polmonare, l’enfisema. Queste due situazioni (infiammazione/stenosi dei bronchi + danneggiamento del polmone) concorrono a creare una difficoltà al passaggio dell’aria, cioè una “ostruzione” bronchiale che può portare all’insufficienza respiratoria e alla morte.
L’enfisema
Per capire la BPCO è necessario comprendere il tipo di danno costituito dall’enfisema polmonare e per questo bisogna richiamarsi alla struttura del polmone e al funzionamento della respirazione.
Quando inspiriamo, il cervello ordina ai muscoli respiratori di allargare la gabbia toracica, in modo da richiamare aria aspirandola; quando il polmone ha incamerato una quantità di aria adeguata i muscoli respiratori cessano la loro contrazione ed il polmone, che è elastico, si contrae, si richiude, proprio come un palloncino e si svuota espellendo l’aria. Le fibre elastiche che compongono la struttura del polmone sono dunque fondamentali nell’espirazione: senza di loro essa non può avvenire in modo fisiologico.
L’enfisema è innanzitutto la perdita della capacità elastica del polmone, che si comporta come un vecchio elastico rinsecchito, che tende a rompersi senza più riuscire a retrarsi. Ed infatti nell’enfisema si rompono anche i setti interalveolari, riducendo la superficie utile per lo scambio aria/sangue dell’ossigeno e dell’anidride carbonica. Dal punto di vista anatomopatologico l’enfisema polmonare è proprio caratterizzato da un progressivo ed irreversibile deterioramento, ingrandimento e riduzione di numero degli alveoli polmonari. Ingrandendosi sempre più e confluendo tra loro gli alveoli deformati si possono formare vere e proprie bolle, che occupano lo spazio dei polmoni, ma che non sono più utili allo scambio dei gas respiratori. In certe situazioni queste bolle possono essere rimosse chirurgicamente.
La perdita di elasticità del parenchima polmonare fa sì che il torace resti in fase inspiratoria, e che l’escursione della cassa toracica sia ridotta fino ad una sua defomazione (torace a botte).
L’enfisema può manifestarsi già in età giovanile e in forme più gravi in pazienti portatori di deficit congenito di alfa-1-antitripsina, un enzima coinvolto nella conservazione del tessuto polmonare grazie all’azione di contrasto nel confronto dell’attività di altri enzimi (come le proteasi, l’elastasi), rilasciati dai globuli bianchi, che causano una distruzione del tessuto polmonare con un danno soprattutto a carico dell’elastina. Il livello di alfa-1-AT deve perciò essere controllato nei portatori di enfisema, tanto più che oggi, oltre alla terapia sintomatica, è possibile anche la terapia sostitutiva, con somministrazione regolare di alfa-1-antitripsina umana purificata.
LA BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO)
La BPCO è dunque l’associazione definitiva e irreversibile fra l’enfisema e un danno infiammatorio strutturale della parete dei bronchiale.
Questa è irrigidita, la mucosa è ispessita, le ciglia che ricoprono l’epitelio sono cadute o ipomobili, il muscolo che la contorna è contratto: il lume bronchiale ne risulta ridotto e occupato da secrezioni che sono aumentate di volume e di viscosità: la loro espulsione è resa più difficoltosa anche dal ridotto calibro bronchiale.
Il risultato complessivo è un ulteriore ostacolo all’espirazione, già ridotta dalla perdita di elasticità del polmone per l’enfisema.
La definizione ufficiale dell’Organizzazione GOLD (Global initiative for chronic obstructive lung diseases) è la seguente:
La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una comune malattia, prevedibile e trattabile, caratterizzata da persistenti sintomi respiratori e limitazione al flusso aereo, che è dovuta ad anomalie delle vie aeree e/o alveolari solitamente causate da una significativa esposizione a particelle nocive o gas. Le riacutizzazioni e la presenza di comorbilità contribuiscono alla gravità complessiva del quadro clinico del singolo paziente.
Naturalmente l’importanza delle due componenti – bronchiale e polmonare -della BPCO nel singolo paziente è assai variabile: in alcuni prevale la bronchite, in altri l’enfisema. Queste differenze sono state esemplificate in due situazioni estreme, quella del pink puffer (sbuffatore roseo) e del bue bloater. Il primo ha una predominanza di enfisema: è per lo più magro, astenico, con una lunga storia di dispnea per sforzi sempre minori, con poca tosse e pochissimo escreato; ha espirazioni prolungate a labbra embricate, si aiuta nella respirazione alzando le spalle per favorire l’inspirazione. Il blue bloatter (letteralmente aringa affumicata blu, per sottintendere gonfio e cianotico) ha una prevalenza di bronchite, con una lunga storia di tosse prima solo invernale, poi panstagionale, con abbondante espettorazione mucopurulenta. La dispnea compare più tardivamente e spesso è il motivo per cui si rivolge tardivamente al medico. E’ spesso in sovrappeso,cianotico,edematoso.
Tra questi due esemplari estremi si inseriscono i vari aspetti della BPCO in real life.
Importanza e cause della BPCO
La gravità di questa malattia è assai sottostimata nell’ opinione pubblica. Pochi si rendono conto che la BPCO è una delle principali cause di morbilità e mortalità nel mondo: in Italia vi sono circa 5 milioni di ammalati e 17.000 circa ne muoiono ogni anno; in Europa è la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori. Ma mentre la mortalità per queste patologie è in riduzione, quella per BPCO è in aumento.
Questo comporta un costo sanitario e sociale altissimo in termini di esami, farmaci, ospedalizzazioni, assenze dal lavoro.
E’ ormai certo che il fattore causale più frequente della BPCO è il fumo di tabacco, nelle sue varie forme, compreso il fumo passivo; anche il fumo di altre sostanze come la marjuana è certamente in causa, così come i fumi di combustione di carbone, legna, biomasse soprattutto in ambienti mal ventilati (come nelle cucine dei paesi del terzo mondo) e i fumi industriali, come quelli della saldatura. L’inquinamento atmosferico ha certamente una sua parte.
Però non tutte le persone esposte al fumo si ammalano: è sicuramente in gioco una predisposizione genetica, dimostrata per ora in poche situazioni, come il deficit ereditario di alfa-1-antitripsina di cui abbiamo parlato.
Sintomi e diagnosi della BPCO
Tosse con espettorazione mucopurulenta e dispnea sono i sintomi principali di questa malattia. La tosse specialmente quella del mattino è spesso considerata “normale” dai fumatori ed infatti è chiamata ” tosse del fumatore”. La mancanza di fiato si manifesta dapprima solo sotto sforzo e viene per lo più sottovalutata, attribuendola all’età e riducendo le occasioni di fatica. In seguito si presenta per sforzi più lievi ed infine anche a riposo. Il farmacista ha grandi probabilità di diagnosticarla, o almeno di sospettarla, precocemente, perché, come si diceva spesso il paziente si rivolge tardivamente al medico e ricorre spesso a cure sintomatiche.
In alcuni casi il respiro diventa sibilante e, soprattutto in posizione distesa, anche chi sta vicino avverte dei gemiti e dei rumori simili a miagolii. Nelle forme più avanzate, quando la respirazione non è più sufficiente ad ossigenare il sangue, le labbra e le unghie diventano cianotiche.
Fin dalle prime fasi della malattia l’esame più significativo per diagnosticarla è la spirometria, che permette i volumi e i flussi dell’aria durante una espirazione forzata e durante la respirazione tranquilla. I valori ottenuti vengono rapportati in percentuale a
i valori teorici per persone sane con le caratteristiche antropometriche del paziente in studio Con la spirometria si può differenziare l’asma dalla BPCO: somministrando un broncodilatatore a rapido effetto come il salbutamolo si ottiene una importante broncodilatazione nell’asma ed una molto ridotta o nulla nella BPCO.
Uno studio funzionale più approfondito permette di valutare il volume residuo, cioè il volume di aria che resta all’interno dei polmoni dopo una espirazione massimale (assai aumentato nell’enfisema) e la diffusione dell’ossigeno dall’aria al sangue.
La radiografia del torace ed eventualmente la TAC del torace sono indispensabili per escludere altre patologie ed evidenziare l’enfisema e le bronchiectasie.
La misurazione della saturazione del sangue in ossigeno è oggi assai semplice, con un piccolo apparecchio, il pulsossimetro; se necessario si può misurare direttamente la quantità di ossigeno e di anidride carbonica nel sangue con l’emogasanalisi arteriosa.
Il walking-test – 6MWT – (la misurazione di quanti metri si riescono a coprire camminando per 6 minuti, misurando la saturazione in ossigeno) è un esame utile per quantificare la gravità della malattia e monitorarla nel tempo.
Prevenzione e terapia della BPCO
E’ evidente che la prevenzione primaria è l’astensione dal fumo e un impiego di risorse pubbliche per spiegare i danni del fumo a livello scolastico e scoraggiarlo nei giovani porterebbe a enormi risparmi sui costi sanitari e sociali. Naturalmente anche il miglioramento della qualità dell’aria nelle città e nelle fabbriche è un obiettivo importante a questo scopo, anche se perseguibile con maggiore difficoltà e complessità.
La cessazione del fumo quando è stata diagnostica la BPCO è l’intervento più efficace ed indispensabile; se necessario può essere supportato con farmaci che diminuiscono il desiderio di fumare. La somministrazione transdermica di nicotina con cerotti e gomme da masticare può assicurare livelli di nicotina nel sangue senza fumare e quindi ridurre la componente organica del desiderio; naturalmente poi è più facile ridurne la posologia e cessarli. Il bupropione e la vareniclina sono di impiego più complesso, ma possono essere utili. Il counseling e il supporto psicologico sono di grande aiuto. Di incerta efficacia è invece la sigaretta elettronica.
La terapia farmacologica della BPCO è basata sui farmaci broncodilatatori assunti per via inalatoria, sotto forma di spray o di poveri da inalare con appositi piccoli inalatori. Appartengono a due categorie diverse: i betamimetici e gli anticolinergici.
I primi stimolano l’attività del sistema simpatico, in particolari sono selettivi per il recettore beta-2 (che è quello dei bronchi) : il loro capostipite è il salbutamolo: hanno un effetto sul muscolo liscio, rilasciandolo. Il possibile effetto collaterale è la tachicardia dovuta alla non perfetta selettività beta2. Si distinguono betamimetici a durata d’azione breve (SABA – short acting beta agonist) come il salbutamolo la cui efficacia è di poche ore e in betamimetici a lunga durata d’azione (LABA – long acting beta agonist). I SABA sono utili come pronto intervento e per eseguire test di broncodilatazione. I LABA sono indicati nella terapia di mantenimento della BPCO: ne basta una assunzione ogni 12 ore (salmeterolo, formoterolo) o 24 ore (vilanterolo, indacaterolo, olodaterolo).
L’altra categoria di broncodilatatori è quella degli anticolinergici, che antagonizzano l’attività bronco-costrittrice parasimpatica; anche di questi vi sono molecole a durata d’azione breve (SAMA, short acting muscarinic antagonist, come l’ipratropio) e long acting (LAMA, come il tiotropio e il glicopirronio)
Di regola non sono utili i derivati cortisonici da inalare (indispensabili invece nell’asma).
L’inalazione dei farmaci broncodilatori avviene attraverso piccoli attrezzi di plastica che consentono l’aspirazione del farmaco all’interno delle vie aeree. Uno dei problemi più comuni è la scarsa competenza dei pazienti nell’impiego di questi device. La tecnica d’inalazione errata può avere gravi conseguenze per i pazienti in termini di controllo della malattia e di qualità della loro vita. Ciò può essere evitato soprattutto con una opportuna istruzione da parte del medico e del personale sanitario al corretto utilizzo del device scelto per dispensare la terapia inalatoria. Sono in corso di studio progetti che coinvolgono il Farmacista di comunità nell’aiuto ai pazienti e nel loro controllo per una somministrazione corretta di questi farmaci.
Nelle forme ipersecretive possono essere utili i fluidificanti delle secrezioni bronchiali: l’acetilcisteina, il più noto, rompe i ponti di-solfuro delle mucine, prodotte in eccesso dalle ghiandole tubulo-acinose e dalle cellule caliciformi. Incidentalmente l’acetilcisteina ha anche grandi proprietà anti-ossidanti, utili per prevenire danni all’elastina del tessuto bronchiale e polmonare. Di grande interesse è anche l’ambroxolo, che ha un’azione diretta sul sistema ghiandolare, modificando le secrezioni bronchiali e un’azione di frammentazione delle fibre mucopolisaccaridiche del muco; inoltre stimola la motilità ciliare e agisce sulla sintesi, l’accumulo e l’escrezione del surfattante, (sostanza tensioattiva secreta dall’epitelio alveolare).
Sono poi utili manovre fisiche per migliorare la detersione delle vie aeree (tecniche di espirazione forzata, drenaggio posturale delle secrezioni, strumenti come il “Flauto polmonare” (che aiuta nel mobilizzare le secrezioni).
Non esistono invece cure farmacologiche per la componente enfisematosa della BPCO, nel senso che le fibre elastiche e gli alveoli distrutti non possono essere ricostruiti; però possono essere utilizzate alcune manovre fisiokinesiterapiche che permettono di ottimizzare la respirazione; in particolare è utile la respirazione diaframmatica (usata anche nelle pratiche yoga) che può parzialmente supplire alla respirazione costale inefficiente.
Gli antibiotici e i cortisonici sono fondamentali per curare le riacutizzazioni, cioè quando una patologia acuta si sovrappone alla malattia di base aggravandola. Il loro impiego deve essere tempestivo, eventualmente indirizzato da esami batteriologici sull’escreato. Il numero delle riacutizzazioni (che è un indici di gravità della BPCO) può essere ridotto con la vaccinazione antipneumococcica.
Quando la respirazione è così compromessa da non riuscire più a ossigenare a sufficienza il sangue è necessario somministrare ossigeno. Il sintomo più appariscente della carenza di ossigeno è la cianosi delle labbra e delle unghie; l’ossimetro indicherà valori inferiori al 90%. E’ allora indicata l’emogasanalisi, per una valutazione più precisa e anche per dosare il livello di CO2. L’ossigeno può essere fornito in forma di gas compresso in bombole (come quelle usate dai saldatori) o più comodamente in forma liquida, a -180°C, in bombole apposite da tenere in casa. Da queste l’ossigeno può essere travasato in stroller portatili anche all’esterno dell’abitazione, che assicurano la continuità della somministrazione per alcune ore. L’ossigeno può anche essere auto-prodotto con concentratori di ossigeno. In ogni caso viene veicolato al naso attraverso occhialini nasali; se la respirazione nasale è inefficiente sono utili maschere facciali che permettono di inalare l’ossigeno anche nella respirazione orale, alla concentrazione voluta (maschere Venturi).
Livelli di maggiore gravità possono prevedere l’impiego di ventilatori artificiali, alcuni assai semplici di utilizzo domestico.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Anastasi, Balboni,De Caro – Trattato di Anatomia Umana – Ermes ed. 2010
Ricche e aggiornate fonti bibliografiche (oltre al trattamento completo della BPCO)si trovano in:
GOLD – Global initiative for chronic obstructive lung disease – revisione 2016 – consultabili sul web
Harrison – Principi di medicina interna – Parte 11: Malattie apparato respiratorio – Ed. XVIII –Mac Graw – Hill N.York – CEA
Consiglio sanitario regionale della Toscana – Linee guida sulla BPCO -2011, aggiornam. 2015 – consultabili sul web
Tutti gli argomenti sulle bronchiti sono ampiamente trattati e regolarmente aggiornati , con ricca bibliografia in ogni articolo nell’ Encyclopédie Médico – Chirurgicale, Pneumologie, Elservier Masson, Paris
per esempio
- Huchon – Définition et classifications des bronchopneumopathies chroniques obstructives – in Encyclopédie Médico-Chirurgicale – 6030 A 10 – Elservier Masson SAS 2009
- Weitzenblum – Explorations fonctionnelles respiratoires dans la BPCO – ibid. 6030 A 13, 2006
Ferec, Scotet, Mucoviscidose et conseil génétique – ibid. 6031 A 25
Anche utile il trattato francese Pneumologie (Aubier, Fournier, Pariente), Flammarion, Paris 1996
per esempio Cordier, Loire – Bronchiolites – in: Aubier, Fournier,Pariente: Pneumologie – Flammarion, Paris 1996 pagg 857-882
e soprattutto il Trattato Italiano di Pneumologia coordinato da Donner e Sanguinetti – Ed. AIPO Scientifica, 2001, esaustivo nelle trattazioni e con molte voci bibliografiche in ogni argomento
per esempio:
Pozzi, Messore: Bronchiectasie – Trattato italiano di Pneumologia Vol II, Tomo I, p. 917 – Ed. Aipo Scientifica
Balbi, Pini e al.: Il deficit di α1antitrpsina, ibid., Vol IIIp. 1943
Ambrosino, Barbano: la riabilitazione nella BPCO ibid. Vol III p. 1983
Una ricca e chiarissima iconografia (famosa nel mondo scientifico) con un testo sintetico e divulgativo si trova in F.H. Netter – Atlante di Anatomia e fisiopatologia clinica – Vol 4 – Ciba Collection 1990 (dal quale sono state tratte alcune immagini del testo)
Meritano una citazione specifica:
J.H. Widdicombe, J.G. Widdicombe, Regulation of human airway surface liquid, “Respiration Physiology“, 1995, 99, pp. 3-12.
Bruna, Onoscuri: Ossigenoterapia a lungo termine domiciliare – Minerva Medica Torino 1993